MANIFESTAZIONE CONTRO IL DDL CARFAGNA SULLA PROSTITUZIONE

SABATO 13 DICEMBRE A ROMA
Dalla presentazione del Disegno di Legge Carfagna sulla prostituzione e con le ordinanze di tanti Sindaci in Italia si è creato un pericoloso clima di intolleranza verso tutte le persone che si prostituiscono. Insieme al ddl si sono avviate campagne politico-mediatiche per alimentare l’allarme sociale e la paura dei cittadini. Sulle persone socialmente «deboli» (della cui sicurezza non ci si preoccupa), si vuole oggi indirizzare l’insicurezza e la paura della gente facendole diventare il capro espiatorio su cui sfogare le frustrazioni di un Paese che sta impoverendo in tutti i sensi.La «sicurezza» sta diventando l’abbaglio e il pretesto per escludere e discriminare i più «deboli», i «diversi» e gli «stranieri», nei confronti dei quali sono aumentate aggressioni, violenze, discriminazioni che si fanno passare come normali, endemici e scontati atti di violenza metropolitana, sottacendone l’origine razzista, sessista, omo-transfobica. Sulla paura e sull’insicurezza si sono costruite campagne che non risolvono ma ingigantiscono i problemi, dei quali si continua a non considerare le cause cercando semplicemente di eliminare gli effetti per mezzo della ricetta più semplice, quella di nascondere. Esattamente quello che si sta tentando di fare con la prostituzione: renderla invisibile. Ma in questo modo non si tutelano i diritti di nessuno. In questo modo si riducono i diritti di tutti:il ddl Carfagna sulla prostituzione non tiene assolutamente in considerazione l’esperienza di tutte quelle persone (trans, donne, uomini) che hanno scelto liberamente di vendere prestazioni sessuali, né risponde ai bisogni delle persone che esercitano la prostituzione per vivere o sopravvivere. Le emargina soltanto, senza neppure offrire una alternativa;inoltre, contrariamente a quanto afferma il Governo, il ddl aggrava la condizione di chi è sfruttato ed è vittima della tratta di esseri umani, fenomeno molto frequente, che riguarda moltissime persone straniere che si prostituiscono in strada, spingendo le persone nel sommerso di appartamenti e locali, rendendole irraggiungibili e completamente sotto il controllo degli sfruttatori;infine, il disegno di legge non renderà i cittadini più sicuri, poiché la sicurezza si costruisce innanzitutto creando condizioni di benessere diffuso, di convivenza pacifica, di rispetto, di pari opportunità, di diritti per tutti e non spingendo al chiuso e nei ghetti fenomeni sociali e persone che fanno parte della nostra società.
Questo ddl attacca i principi di libertà garantiti dalla Costituzione, priva di diritti le persone che esercitano la prostituzione, minaccia seriamente la loro salute e la loro sicurezza, non tutela l'incolumità delle vittime di sfruttamento, non permette di portare avanti i servizi che da anni operano attività di riduzione del danno e di prevenzione sanitaria che da sempre garantiscono il diritto alla salute dell’intera comunità (contatto, informazione, sensibilizzazione ed accompagnamento che svolgono gli operatori sociali direttamente in strada con le persone che si prostituiscono). Questo ddl rischia inoltre di depotenziare il sistema di tutela e assistenza delle vittime di grave sfruttamento e tratta di persone, che pure rappresenta un punto di eccellenza dell’Italia nel panorama internazionale: le vittime non avranno più accesso ai programmi di aiuto poiché non potranno essere più contattate dalle unità di strada, ed anche per le forze dell’ordine il contatto sarà più difficile.Ci opponiamo al ddl perché crediamo che le persone debbano essere:
LIBERE DALLA VIOLENZAa cui vuole condannare il ddl Carfagna costringendo le persone ad esercitare la prostituzione al chiuso, dove è più difficile difendersi dalla violenza e dove aumenta la precarietà. Il ddl non considera il fatto che chi si prostituisce non commette reati contro terzi ma spesso li subisce (violenze, stupri, rapine, sfruttamento, riduzione in schiavitù); non considera inoltre che violenza, sfruttamento, riduzione in schiavitù già sono presenti in una parte della prostituzione al chiuso esercitata negli appartamenti o tramite i locali notturni.Il ddl inoltre, in evidente violazione degli obblighi costituzionali ed internazionali assunti dallo Stato italiano relativamente alla protezione dei minori, prevede il rimpatrio forzato delle persone minorenni non italiane che si prostituiscono, costringendole a tornare nei luoghi dai quali sono fuggite. Questo significa molto spesso immettere una seconda volta le vittime nel circuito dello sfruttamento e in una condizione di vulnerabilità ancora maggiore.
LIBERE DI POTER ACCEDERE E DI USUFRUIRE DI SERVIZI E OPPORTUNITA’ mentre invece il ddl Carfagna - con il suo estremismo securitario e la sua impostazione esclusivamente repressiva - toglie ogni prospettiva futura per chiunque voglia abbandonare la prostituzione. Le persone trafficate vedranno ridotte drasticamente le loro possibilità di accedere ai programmi di assistenza e protezione sociale in quanto sempre più irraggiungibili dagli operatori sociali ma anche dalle forze dell’ordine, che verranno viste come nemiche anziché come un punto di riferimento. A chi esercita la prostituzione per mancanza di alternative e a causa della discriminazione (si pensi alle transessuali), non viene offerta alcuna alternativa, nessuna misura di supporto all’inclusione sociale e all’inserimento lavorativo.
LIBERE DI SCEGLIEREmentre il ddl Carfagna non tiene in considerazione il fatto che la prostituzione possa essere una scelta, né garantisce aiuto alle vittime di tratta e sfruttamento, né offre alternative a chi vorrebbe abbandonare l’attività prostitutiva ma ha bisogno di un sostegno.
LIBERE DAL PREGIUDIZIOmentre il ddl, criminalizzando la prostituzione, aumenta lo stigma e il pregiudizio verso chi la pratica, esponendo le persone a violenze, persecuzioni, discriminazioni e maggior emarginazione.
LIBERE DI AGIREmentre il ddl, per salvaguardare il «pubblico pudore», impone norme di comportamento a tutte e tutti. In questo modo si limita la libertà, l’autodeterminazione e si ledono i diritti.
Per tutti questi motivi stiamo promuovendo un evento pubblico a Roma per il 13 dicembre 2008 e ci auguriamo di poter contare sulla più ampia partecipazione. Un evento che veda insieme le persone che si prostituiscono, gli operatori sociali, la cittadinanza, personaggi del mondo dello spettacolo e della cultura. Una manifestazione per i Diritti e per la Libertà di Scegliere.
Per aderire all’iniziativa nella qualità di enti sostenitori, siete pregati di scrivere alla seguente mail: adesione13dicembre@gmail.com Le adesioni possono venire sia da enti che da singoli.Una prima tornata di adesioni verrà chiusa il 27 novembre, per iniziare a pubblicizzare l’iniziativa.



BERLUSCONI : "Settantamila prostitute inquinano le strade"

Ha detto proprio così: inquinano. Ieri Silvio Berlusconi era a Teramo, impegnato in un comizio della campagna elettorale per le regionali. A un certo punto ha spiegato al suo uditorio che «in Italia ci sono 70mila prostitute che inquinano le nostre strade». Un problema perché «sono uno spettacolo non edificante per i nostri ragazzi» e certo anche perché «spesso vengono poste sotto schiavitù». Il presidente del Consiglio ha detto di sapere bene che queste donne molto spesso «vengono messe in un appartamento, violentate, viene tolto loro il passaporto e vengono messe sulle strade e minacciate di morte». Ma è interessato soprattutto all'aspetto estetico, alle strade «inquinate». Per questo, ha detto, avrebbe voluto procedere per decreto ma in qualche modo gli è stato impedito e adesso c'è un disegno di legge che vieta la prostituzione in strade e che la ministra per le pari opportunità Mara Carfagna ieri è andata a spiegare in un convegno a Salerno. «Noi vogliamo contrastare la prostituzione, non legalizzarla», ha detto la ministra, spiegando che il divieto sarà previsto per «la prostituzione in strada e nei luoghi aperti al pubblico».
Articolo da "Il Manifesto" del 23 novembre 2008

Le donne per le donne.


Lo striscione alla testa del corteo recita “Indecorose e libere”.
“Donna prima che figlia, donna prima che moglie, donne prima che madre, donna prima che sia tardi”: uno dei cartelli portati dalle tante ragazze che animano il corteo contro la violenza sulle donne, a Roma. “Ti lamenti, ma che ti lamenti, piglia lu bastuni e tira fora li denti” è invece il ritornello della canzone più trasmessa.
Un centro anti-violenza espone invece uno striscione con la scritta “La violenza sulle donne ha molte facce”, e le facce sono quelle dei ministri Brunetta, La Russa, Gelmini, Carfagna, Tremonti, Calderoli; del premier Berlusconi e di papa Ratzinger.
--->la rassegna stampa

Le femministe «smascherano» un falso obiettore


di Olivia Fiorilli

«Di fronte agli attacchi sempre più pesanti all’autodeterminazione delle donne non si può più rispondere semplicemente invocando la difesa della 194. Per riaffermare con efficacia il nostro diritto di autodeterminazione dovremmo ripartire dal nodo dell’obiezione di coscienza. […] Crediamo sia arrivato il momento non solo di rivendicare dei diritti ma anche di praticarli. ‘Obiettiamo gli obiettori’ significa che esercitiamo il diritto di scegliere da chi farci curare, pretendendo un rapporto di fiducia, trasparenza e assunzione di responsabilità con la persona a cui affidiamo la nostra salute». Questo l’appello lanciato quasi un anno fa dal collettivo femminista Maistat@zitt@, che proponeva una campagna nazionale contro l’obiezione di coscienza da realizzare attraverso la raccolta dei nominativi dei medici obiettori e il boicottaggio dei reparti e degli ospedali nei quali questa viene più praticata. Molti gruppi in tutta Italia hanno aderito alla campagna. A Bologna sono state denunciate pubblicamente alcune farmacie che non vendono la pillola del giorno dopo, a Milano è stata fatta un’inchiesta negli ospedali cittadini. Reti contro l’obiezione di coscienza si sono formate anche a Palermo e Treviso. Alla campagna ha aderito anche un gruppo di femministe dei Castelli, che ha raccolto i nomi dei medici obiettori di coscienza della asl RmH. Durante uno dei volantinaggi negli ospedali della asl [Marino, Velletri, Genzano], una donna ha segnalato loro che uno dei medici obiettori segnalati pratica aborti privatamente, cosa vietata dalla legge 194. Il gruppo ha deciso di verificare l’informazione per denunciare pubblicamente il medico. Una militante del gruppo si è finta incinta, «riciclando» il certificato della sua ultima gravidanza, e si è recata presso lo studio privato, a Cecchina [Albano], per chiedere di ricorrere all’interruzione di gravidanza privatamente. Il ginecologo non ha mosso alcuna obiezione, ha anzi proposto alla donna – munita di mp3 per registrare la conversazione – un aborto nel suo studio privato al prezzo di 500 euro, oppure – in caso il feto fosse troppo grande – un aborto presso un’altra clinica per un prezzo oscillante tra i 1000 e i 2000 euro. «A quel punto quelle di noi che aspettavano fuori sono entrate nello studio per chiedere conto al medico, che è stato molto arrogante – racconta una delle femministe che hanno partecipato all’azione – abbiamo appeso uno striscione fuori dallo studio per denunciare pubblicamente l’attività di questo medico». A breve, contro l’uomo, sarà sporta anche una denuncia penale, nel frattempo le femministe hanno allertato la asl Rmh dalla quale dipende il medico – che nell’ospedale di Genzano, dove lavora, si proclama obiettore di coscienza. «Nella asl Rmh che comprende i 4 ospedali dei Castelli il 90 per cento dei medici sono obiettori – raccontano ancora le femministe – Abbiamo quindi fondati motivi per credere che questo non sia l’unico medico che pratica aborti nel privato a caro prezzo. Si tratta di una delle tante forme di violenza contro le donne».Manca poco più di una settimana alla manifestazione nazionale contro la violenza maschile sulle donne [Roma, 22 novembre]. Come lo scorso anno, il Sommovimento femminista e lesbico scende in piazza contro le molteplici forme della violenza. Non solo quella fisica e sessuale, ma anche quella economica. E la violenza di chi nega alle donne la possibilità di decidere del proprio corpo. «La violenza fa parte delle nostre vite quotidiane e si esprime attraverso la negazione dei nostri diritti, la violazione dei nostri corpi, il silenzio», si legge nell’appello di indizione della manifestazione.
---->da carta.org

A Tropea il lancio della Campagna “Uscire dalla violenza si può”

Il prossimo 22 novembre, alle ore 11.00, presso la sala convegni del Museo Diocesano di Tropea, si svolgerà la Conferenza Stampa all’interno della quale verrà presentata la Campagna di sensibilizzazione “Uscire dalla violenza si può” creata in occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne.
La Campagna rappresenta una presa di posizione chiara e decisa contro tutte le forme di violenza ai danni delle donne, con particolare riguardo alla violenza domestica e prevede la diffusione di semplici ma incisive pubblicazioni contenenti informazioni utili, appositamente create e rivolte a donne italiane ed immigrate che vivono situazioni di violenza.
La Campagna è sostenuta dalla Consigliera di Parità della Provincia di Vibo Valentia e da numerosi Comuni ed Associazioni della provincia di Vibo Valentia che verranno elencati nel corso della conferenza stampa.
Nel corso della Conferenza stampa verrà proiettato un’intervista video concessa all’Associazione Attivamente coinvolte dalla trasmissione di Rai Tre Amore Criminale la cui regista, nei prossimi giorni darà conferma della sua presenza a sostegno della Campagna e dell’Associazione Attivamente Coinvolte.
Nel corso della conferenza stampa verrà presentata l’Associazione “Attivamente Coinvolte” Onlus, Associazione ideatrice della Campagna di sensibilizzazione.
L’Associazione che si propone di creare un ponte tra le donne della provincia di Vibo Valentia e la rete dei centri antiviolenza italiani ha quali madrine il Centro Antiviolenza Roberta Lanzino di Cosenza ed i Centri Antiviolenza di Roma gestiti dall’Associazione Differenza Donna Ong.
da Deltanews

Genealogia dell'aborto

di Ida Dominijanni


In attesa di veder svanire - speriamo - l'incubo Sarah Palin, inedita figura di parassita antifemminista della rivoluzione femminista che pretenderebbe con una mossa sola di legittimare un mito neo-tradizionalista della madre e di delegittimare la libertà di scelta femminile sull'aborto, diamo uno sguardo a un agile e prezioso libro di cecilia D'Elia appena uscito per Ediesse, che sotto il titolo «L'aborto e la responsabilità» ricostruisce quattro decenni di dibattito pubblico sull'aborto nel nostro paese. Cecilia D'Elia, attualmente vicepresidente e assessora alla cultura della Provincia di Roma, è una femminista di seconda generazione, formatasi politicamente e intellettualmente negli anni Ottanta, che ha sempre praticato una relazione genealogica forte e dichiarata con «le madri» degli anni settanta. Ed è questa relazione che a mio avviso struttura il suo libro, che infatti si segnala - fra i molti che sull'aborto continuano ad uscire come se il tema lo portasse ogni volta la cicogna, il presidente del consiglio di turno o «il Foglio» - per il fatto di restituirgli invece la sua origine vera. Che è un'origine radicata nella presa di coscienza femminista degli anni Settanta. Un'origine che tanto ne condiziona i successivi sviluppi, quanto dai successivi sviluppi viene continuamente rimossa. Cecilia - che le lettrici del «manifesto» conoscono per i suoi interventi sul giornale in materia di procreazione - lo dichiara con chiarezza: «Il libro nasce dal desiderio di non perdere un patrimonio che donne di generazioni diverse hanno prodotto e che rischia di essere offuscato dal discorso pubblico. Sulla grande stampa, salvo rare eccezioni, si discute di aborto come se le donne non ci fossero e come se non avessero detto nulla di significativo. Si pontifica di morale non dando nessun valore alla parola femminile, come se fosse irrilevante 'chi' abortisce». L'abbiamo visto bene, l'ultima volta, pochi mesi fa, durante la campagna teo-cons per la moratoria sull'aborto e per la revisione delle norme sull'aborto terapeutico. Ma lo vediamo bene anche tutte le volte che, da sinistra, la questione aborto viene declinata solo nei termini riduttivi della laicità dello stato e della difesa di un diritto. Perciò, come scrive D'Elia, «ritornare all'origine può aiutarci a a uscire da una rappresentazione non veritiera del dibattito in corso, schiacciato sull'imperativo della difesa della vita, e può mostrarci gli elementi di debolezza di una risposta a favore della scelta delle donne tutta giocata sulla laicità, sulla grammatica dei diritti e sul rischio di un ritorno alla triste realtà dell'aborto clandestino».All'origine, infatti, ben altra fu, nella presa di parola femminile, la complessità e la ricchezza del discorso. Sintomo di uno scacco nel vissuto della sessualità e della relazione con l'altro, l'aborto era solo un capitolo di una più vasta materia che comprendeva la distinzione fra sessualità e maternità, l'analisi del desiderio di essere o di non essere madre, il cambiamento del rapporto con gli uomini, l'elaborazione di un linguaggio autonomo delle donne su se stesse e sull'altro. Tutt'altro campo discorsivo rispetto a quello consentito dal fronte politico «progressista» dell'epoca, che in casa radicale e socialista si limitava a parlare di un diritto civile, e in casa catto-comunista, peggio ancora, di una «piaga sociale» da combattere a suon di asili nido e servizi sociali. Attraverso l'analisi dei testi del femminismo radicale (e dei cambiamenti intervenuti nelle organizzazioni femminili più tradizionali come l'Udi che radicali non erano), Cecilia ricostruisce il discorso femminista in tutte le sue eccedenze dal discorso politico e da quello giuridico. Rilegge il dibattito parlamentare sulla 194 e il carattere compromissorio di quella legge, oggi diventata una trincea difensiva ma allora oggetto di critiche asperrime nel movimento. E passando ai decenni successivi, segue le pieghe successive che il discorso pubblico ha preso, prima, negli anni 80, con il tentativo di rimettere la legge e la parola del padre di tarverso alla coppia madre-concepito, poi, negli anni novanta, con il tentativo di contrapporre il diritto del feto a quello della madre, e infine, nel decennio ancora in corso, con il tentativo di eclissare la figura materna riducendola a un utero-contenitore sottoposto alla norma del diritto e della scienza. Tentativi non riusciti, o riusciti solo in parte. Ma che mostrano dell'aborto, di volta in volta, più il lato sintomatico delle nevrosi sociali che quello di un'esperienza umana femminile da far parlare e sapere ascoltare.

TRE DONNE ELOGIANO LA LIBERTÀ DI PROSTITUIRSI

"..Il fatto che una donna possa scegliere di sua volontà questo mestiere sembra, in entrambi i casi, inaccettabile ai suoi avversari: gli uni ritengono che si tratti di un delitto, le altre pensano che una donna non acconsentirebbe mai liberamente a un rapporto sessuale senza desiderio né amore. Queste due idee della prostituzione sono in realtà due versanti del medesimo postulato, quello che fa del sesso un´attività umana a parte, pericolosa e al tempo stesso sacra, di cui gli individui - e più specificamente le donne - non disporrebbero a piacer loro." (Io voglio vendermi)
Copyright «Le Monde» Marcela Iacub è giurista e ricercatrice al Cnrs Catherine Millet è direttore di «Art press» e scrittrice Catherine Robbe-Grillet è scrittrice

Corteo di donne autorganizzato. ROMA, 22 NOVEMBRE 2008

P.zza della Repubblica, ore 14.00
INDECOROSE E LIBERE! La violenza maschile è la prima causa di morte e di invalidità permanentedelle donne in Italia come nel resto del mondo. La violenza fa parte dellenostre vite quotidiane e si esprime attraverso la negazione dei nostridiritti, la violazione dei nostri corpi, il silenzio. Un anno fa siamo scese in piazza in 150.000 per dire NO alla VIOLENZA MASCHILE e ai tentativi di strumentalizzare la violenza sulle donne, daparte di governi e partiti, per legittimare politiche securitarie erepressive e torneremo in piazza anche quest’anno perché i governicambiano ma le politiche restano uguali e, al giorno d’oggi, peggiorano.In un anno gli attacchi alla nostra libertà e autodeterminazione sonoaumentati esponenzialmente, mettendo in luce la deriva autoritaria, sessista, e razzista del nostro paese. Ricordiamo il blitz della polizia al policlinico di Napoli per il presuntoaborto illegale, le aggressioni contro lesbiche, omosessuali e trans, contro immigrate/i e cittadine/i di seconda generazione. Violenza legittimata e incoraggiata da governi e sindaci-sceriffi che voglionoimporre modelli di comportamento normalizzati in nome del “decoro” edella “dignità” impedendoci di scegliere liberamente come condurre lenostre vite. La violenza maschile ha molte facce, e una di queste è quella istituzionale: vorrebbero risolvere la crisi economica e culturale chestiamo vivendo smantellando lo stato sociale. Per salvare le banche, rifinanziare le missioni militari all’estero emilitarizzare le nostre città tagliano i fondi ai centri antiviolenza, ai consultori e a tutti i servizi che garantiscono alle donne libertà, salutee indipendenza. Con la legge 133 tagliano i fondi alla scuola e all’università pubblica per consegnare l’istruzione nelle mani dei privati determinando la fine del diritto ad una istruzione gratuita e libera per tutte/i. Con il decreto Gelmini, migliaia di insegnanti, maestre precarie, perdono il posto di lavoro, e viene meno un sistema educativo - il tempo pieno - che sostiene le donne, consentendo loro una maggiore libertà di movimento e autonomia. L’obiettivo delle riforme del lavoro, della sanità, della scuola edell’università è di renderci sempre più precarie e meno garantite: mogli e madri “rispettabili” rinchiuse nelle case, economicamente dipendenti da un uomo, che lavorano gratuitamente per badare ad anziani ebambini. Non pagheremo noi la vostra crisi!


SABATO 22 NOVEMBRE SAREMO DI NUOVO IN PIAZZA PER RIBADIRE con la stessa forza, radicalità e autonomia che la VIOLENZA MASCHILE non ha classe né confini, NASCE IN FAMIGLIA, all’interno delle mura domestiche, e NON È UN PROBLEMA DI ORDINE PUBBLICO E AFFERMARE CHE al disegno di legge Carfagna, che criminalizza le prostitute e impone regole di condotta per tutte, che ci vuole dividere in buone e cattive, in sante e puttane, in vittime e colpevoli, noi rispondiamo che SIAMO TUTTE INDECOROSAMENTE LIBERE!
Al decreto Gelmini che ci confeziona una scuola autoritaria e razzista, noi rispondiamo che VOGLIAMO TUTTE 5 IN CONDOTTA!
Ai pacchetti sicurezza e alle norme xenofobe che ci vogliono distinguere incittadine/i con e senza diritti, rispondiamo che SIAMO TUTTE CITTADINE DEL MONDO E ANDIAMO DOVE CI PARE!
Sommosse – Rete Nazionale di femministe e lesbicheper adesioni: sommosse_roma@inventati.org