La condizione post-moderna

Che si parli di precariato metropolitano o crisi generazionale (postcomunisti, postmoderni, postindustriali) siamo tutti carne al botulino di questo occidente impazzito. O forse è solo il mio particolarissimo frangente percettivo. Le verità vacillano e i dubbi bruciano. Perché 29 anni è un’età con-fine e frontiera. La fine che delimita, costringe, chiude, opprime e segna il passaggio da uno stadio ad un altro. Ma quando i contorni di ciò che sei producono asimmetrie, tendono a sfumare e si alterano diventa inattuabile ogni possibile svolgimento ulteriore. In una negazione disperata e accusatoria del contemporaneo, mi muovo da un tempo concluso, in perenne fuga da me stessa al presente e lungo l’asse del mio divenire, verso un futuro che non si percepisce, non si scorge e se cerchi di respirarlo la nausea appesta i sensi e l’immaginario è quello di un acido che sale male. Se solo l’insopportabile contrappeso della leggerezza si dissolvesse sarebbe possibile abbandonarsi alla vertigine da caduta, il dopo muterebbe da predizione nefasta a frontiera avverabile dove tutti i possibili io sboccerebbero come fiori del male.

Le chateau des Pyrénées, (Il castello dei Pirenei)

René Magritte

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